Varrone 2010

Sono accucciato con le gambe in acqua. Davanti a me c’è una bella buca preceduta da una piccola cascata che riempie l’aria di goccioline illuminate dai primi raggi di sole. L’aria è fresca e profumata dalla ricca vegetazione montana che avvolge il torrente. Non sento nulla fuorché l’acqua che scivola forte tra i massi granitici. Lancio le mosche a lato della cascata e sento quasi subito una tensione sulla lenza.  Alzo repentinamente la canna che si flette e vibra. La trota sembra bella e si difende con la forza tipica del selvatico di montagna. Dopo pochi secondi è tra le mie mani bagnate che si lascia osservare  nel suo splendore.

Sono tornato sul torrente Varrone.

Parcheggio nella zona industriale di Premana alle 6:20 come da piano. C’è già luce ma il freddo è piuttosto pungente e infilo subito il maglione. Il primo obiettivo della giornata è di arrivare all’alpe forno percorrendo tutto il tragitto che dodici mesi addietro avevo lasciato a metà.

Scarpa da trekking ai piedi, pantalone corto, polo, cappello, lenti polarizzate. Nello zaino ieri sera ho riposto sandali, due magliette di cambio, maglione, biscotti, banana, un litro d’acqua e l’occorrente per la pesca.

Oggi pesco con la rivelazione di questa settimana: la mia iwana da 12′. 3,60 m di canna fissa telescopica si infilano senza problemi nello zainetto. Durante le ultime serate della settimana, in previsione di questa uscita, ho provato a costruire qualche sommersa seguendo questo metodo costruttivo.

Ho usato hackles di gallina marrone e filo di montaggio nero su ami del knapek grub della misura 12.

Mi sono preparato un trenino di tre di queste sommerse su filo dello 0.20. Un diametro piuttosto grosso mi aiuterà ad evitare al massimo gli ingarbugliamenti.

Si comincia a salire e vado subito in debito d’ossigeno. L’approccio alla milanese del fare tutto, subito, in fretta, poco si concilia con l’ambiente delle montagne lecchesi. Devo trovare il passo giusto, lento, adatto al  mio fisico non proprio da atleta che mi porterà dopo un’ora abbondante all’alpe del forno.

Ho ancora il fiatone dell’ultima salita e comincio sfoderare la canna. In un minuto sono pronto e comincio a pucciare il trenino nella prima buca.  La sequenza di mosche occupa circa 80 cm: la prima legata all’estremità del filo, le altre su dei piccoli braccioli da 5cm a 40 cm di distanza l’una dall’altra. Le tre mosche lavorano a profondità diverse: quella in punta è la più profonda, la media un po più su , la terza lavora praticamente a galla ma, pescando a salire, durante l’ultima parte della passata è ben sopra la superficie.

Ebbene al secondo lancio una trotella salta sulla terza mosca,  che sta fuori dall’acqua!!!!!

Risalgo di buca in buca con l’agilità di un bradipo sovrappeso ma capisco dopo pochi lanci che questa tecnica è micidiale. Non c’è spot in cui non vi sia un attacco. Nelle buche più grosse riesco a prendere qualche trota interessante otre i 25cm. Esattamente come avevo pensato, la canna lunga e l’assenza della coda in acqua fanno una differenza enorme. La presentazione dell’esca è molto più semplice e naturale ed inoltre si ha una sensibilità pressoché immediata dell’abboccata.

Continuo a pescare risalendo il corso d’acqua mentre il sole ora illumina questo posto incantevole che ogni tanto mi porge qualche lampone o qualche fragolina di bosco.

Vista la buona quantità di catture decido di trattenere le ultime due trote per la cena e smetto di pescare prima del previsto. Sono completamente soddisfatto della giornata.

2 pensieri su “Varrone 2010

    1. Grazie Lukino. Approfitto delle poche giornate a disposizione per fare qualche moschettata a salmonidi in qualche posto carino. Questi post mi servono nelle serate invernali, quando tutti sono a nanna. Rileggo e per qualche minuto mi sembra di essere li tra le buche del torrente e tutti i pensieri e le preoccupazioni spariscono e vado a nanna anche io. 🙂

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