Vescovo di Verona durante il IV secolo, viene ritratto da Jacopo da Ponte nel 1538 nella chiesa parrocchiale di Borso del Grappa.

San Zeno impugna una canna di legno armata di una coda in crine e un finale con tre mosche una delle quali in bocca al temolo in bella mostra.

La canna è simile a quella che usa Arturo Pugno, la coda in crine è quella che confeziona Andrea, il trenino è lo stesso del Bruno, le mosche son le stesse che usiamo tutti noi appassionati di questa pesca. Non ci sono dubbi, San Zeno, nel ritratto di Jacopo da Ponte, pesca alla valsesiana. Nulla di particolare se non il fatto che l’artista la dipinge cinquecento anni prima che io e Ryuta arrivassimo a Varallo nel 2011 a vederla dal vivo, praticata da Andrea Scalvini. Cinquecento anni, voglio scriverlo ancora, CINQUECENTO ANNI. La distanza tra le mosche, la lunghezza dei braccioli, la coda in crine, insomma, il manuale della valsesiana, scritto dall’artista sul muro di una chiesa. E poi il Temolo, la preda per eccellenza del pescatore a mosca, forse il motivo stesso della nascita di questo meraviglioso modo di pescare.

L’apertura è lontana, ma la prossima primavera, quando sarete seduti su un sasso davanti al fiume, svolgendo la vostra lenza e legando ad essa il vostro trenino, dedicate un pensierino alla pala di San Zeno e a tutti i pescatori che in questi cinquecento anni almeno hanno praticato questa pesca, farete dei lanci straordinari e delle pose delicatissime.
Quando i pesci saranno inchiodati sul fondo e vi verranno i dubbi sulla dimensione degli ami, la distanza tra le mosche, la lunghezza dei braccioli, guardate San Zeno e state sereni.
Voglio ringraziare Carlo Bulgarini, per le preziose foto.
Bel post. Prendere coscienza che le nostre azioni sono inserite in una tradizione così antica dà un che di rassicurante.
Grazie Andrea.